Spesso nel blog ho pensato di parlarvi di mia mamma, Carla Cassai, della sua lenta agonia, che è durata anni. C’è un momento della nostra vita nel quale succede a tanti di noi: avrei voluto raccontare una storia dura che accomuna tanti miei coetanei e non solo, avere i genitori anziani che hanno bisogno di essere accuditi.  È morta venerdì scorso.

La mia famiglia mi ha chiesto di fare un discorso durante il funerale, che pubblico di seguito. Alla fine il prete mi ha redarguita: «Bel discorso, però lei ha commesso errori teologici. Sua mamma da lassù la vede e la pensa ancora».

Non finirò mai di essere sgridata! Comunque gli errori teologici in realtà non li ho fatti io ma il premio Nobel per la Letteratura Luigi Pirandello, che ho citato nel mio discorso, mica uno qualunque.

Sei stata in casa tua fino alla fine

Alla fine, non ce l’hai più fatta mamma. Erano anni che combattevi. Ma la signora con la falce in mano non lascia scampo. Ho provato a convincerla l’ultima notte che ho dormito con te, il mese scorso. Mi ha dato retta per qualche settimana. Poi l’ha avuta vinta lei.
Con mia sorella Antonella, siamo riuscite a tenerti in casa fino alla fine come volevi tu. Lei ti è stata molto vicino negli ultimi tre anni. Sei stata una mamma fortunata. Chissà come sarà la nostra vita senza di te.

Pirandello e la morte di sua mamma

Pirandello ha scritto una bellissima cosa quando è morta sua mamma. Te la riassumo così: in realtà non sei morta tu, ma io perché tu nel mio ricordo ci sei ancora, ma io nel tuo non ci sarò mai più. Questo racconto me lo sono portato dentro tutta la vita e ora lo porgo a voi come fosse un mazzolino di fiori.

Un racconto che mi è venuto spesso in mente da allora, ma mamma mi sembravi indistruttibile, eri una donna piena di vita, e la tua morte mi sembrava qualcosa di remoto. Eri una persona irrequieta e non riuscivi mai a stare ferma, anche negli ultimi anni mentre il tuo corpo si andava disfacendo pezzo per pezzo con una lentezza feroce, avevi sempre voglia di uscire, andare al ristorante o a fare una gita nell’entroterra per mangiare i ravioli. Non volevi o facevi finta di non renderti conto che non era più possibile.

Il brano di Pirandello, riadattato alla lingua di oggi e alla circostanza

«Anche se tu sei morta, per me tu sei ancora viva, viva com’eri, come ti ho pensato per tanti anni, anche quando non ti vedevo. E sarai viva per sempre, sarai finché io sarò viva.
Invece io, ora, non sono più viva, e non sarò mai più viva per te, mai più!
Perché tu non puoi pensarmi, com’io invece ti sto pensando ora.
Mamma, quelli che si credono vivi pensano di piangere i loro morti e invece piangono una loro morte, perché non sono più presenti nel sentimento di quelli che se ne sono andati.
Tu ci sarai sempre, nel sentimento mio: io, Mamma, invece, non ci sarò più nel tuo.
Tu ora sei qui; mi stai parlando, sei proprio qui viva. Ti vedo, vedo la tua fronte, i tuoi occhi, la tua bocca, le tue mani; vedo il corrugarsi della tua fronte, il battere dei tuoi occhi, il tuo sorriso, il gesto delle tue mani rugose. Ti sento parlare, perché sei qui davanti a me, una realtà vera e viva. Ma chi sono invece più io, per te? Nulla.
Tu sei e sarai per sempre la mamma mia; ma io? io, figlia fui e non sono più, non ci sarò mai più.

E ora sto sentendo dentro, ma come da lontano, la tua voce che mi sospira: «Guarda le cose anche con gli occhi di quelli che non le vedono più! Ne avrai un dispiacere, figlia mia, ma te le renderà più sane e più belle».

Chi eri e cosa hai fatto, Carla Cassai

Tu eri Carla Cassai, ma le donne della tua generazione si facevano chiamare con il cognome del marito, Guglielmi. Però più di altre usavi anche il cognome della tua famiglia d’origine.

Toscanaccia fino in fondo all’anima, non perdevi mai l’occasione di fare commenti salaci. Ti eri trasferita a Sanremo negli anni Quaranta perché il nonno Angiolino lavorava alla Banca d’Italia e il regime lo aveva spedito a Mentone. A vent’anni avevi conosciuto papà Gino Guglielmi, sanremasco verace, e te l’eri sposato. Lui ci ha lasciato troppo presto, 26 anni fa. Con qualche guaio economico. E tu ce l’hai messa tutta per andare avanti da sola, con il nostro aiuto.

Dal brandacujun alla sardenaira, eri un’ottima cuoca

Sapevi cucinare così bene, che ne avevi fatto anche un mestiere: proverbiali erano i fiori di zucchina ripieni, la torta di carciofi, il brandacujun, la sardenaira, e i ravioli di borragine. Eri una cuoca straordinaria e di questo andavi fiera. Valeria, tua nipote, ha trascritto alcune delle tue ricette. Non andranno perse.
Infatti, avevi lavorato per tanti anni nel settore della ristorazione e dell’accoglienza: negli anni Settanta avevi gestito il complesso Piccadilly a Ospedaletti – sarà per questo che mi sono innamorata di Londra, mia città adottiva. E da sola il Meuble Les Pins, sempre a Ospedaletti. Negli anni Novanta, invece, il ristorante U Recantu in via Corradi a Sanremo.
Con papà Gino Guglielmi, ancora nel ricordo di molti a Sanremo, partecipavi alle attività di diverse associazioni culturali e ricreative, quali la Famija Sanremasca e il Club ’26, di cui un’intera generazione ricorda ancora le Festopoli al Casinò.

Sei stata una forte fumatrice, poi hai smesso a cinquant’anni senza fare una piega. E rompevi perché io smettessi. Ce l’ho fatta, 4 mesi fa, ho cercato di dirtelo in tutti i modi ma già eri più di là che di qua.

Ciao mamma! Dove sei ora, che sembri ancora guardarmi con quegli occhi che non vogliono chiudersi?
Saluta papà se mai lo incontrerai.

Nella foto in apertura,  la mamma con mia sorella Antonella a sinistra e io a destra. Erano gli anni Settanta, un’epoca più speranzosa

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