San Romolo e Bajardo, nell’entroterra di Sanremo, due luoghi della mia infanzia. Fondamentali per la mia crescita, da lì è nato il mio amore per la natura e per le case in pietra dei borghi medievali che costellano il Ponente Ligure. Sono venute a trovarmi due amiche, mentre accudivo mia mamma in ospedale, Marta e Geraldina, alla quale è venuto in mente di raccontare questo nostro vagabondare per i monti e il mio rapporto con questi luoghi.
Geraldina Morlino
Scorriamo il lungo corridoio della stazione sotterranea di Sanremo, oscillando nel torpore del tapis roulant. All’uscita, ci accolgono i sorrisi caldi di Cesare e Laura. Sanremo è la città dove Laura è nata e ha vissuto fino ai diciannove anni.
Saliamo in auto, si va a San Romolo.
La casa dov’è cresciuto Italo Calvino
Prima, però, saliamo una breve strada tortuosa senza sbocco e ci fermiamo davanti al cancello di Villa Meridiana, dov’è cresciuto Italo Calvino, una fissa di Laura. Fino agli anni Cinquanta, questo giardino, ora ridotto ad un fazzoletto, era circondato da piante tropicali, che Mario Calvino ed Eva Mameli, i genitori dello scrittore, avevano importato da tutto il mondo. Poi, sono stati abbattuti per far posto alla speculazione selvaggia. Il cemento ha sostituito il respiro. Oggi la villa è dipinta di rosa e divisa in monolocali.
Le strade intorno straripano di pallidi condomini. Laura li guarda, forse sognando il bianco e nero di un’epoca sparita per sempre.
Un tempo qui c’era una funivia
Sulla strada verso San Romolo, in mezzo a scorci panoramici, spuntano i tralicci della Funivia Sanremo-Monte Bignone, attiva dal 1936 al 1981. Laura la prendeva spesso da bambina, le è sempre piaciuto scrutare il mondo dall’alto. Con un po’ di distacco le cose si capiscono meglio. Amo le funivie, ma purtroppo l’hanno chiusa per sempre. Non la potrà più prendere nessuno.
Il mitico prato di San Romolo
A San Romolo il vasto prato, bellissimo. Un tempo era meta di tutti i sanremaschi, i più ricchi qui possedevano le ville delle vacanze. Marta, Laura e io abbracciamo un castagno maestoso, tenendoci per mano e cingendolo tutto, vicino alla chiesa. Da lassù si vede la valle verde e un panorama strepitoso sulla costa. E il caldo assillante della costa è solo un lontano ricordo.
È ora di pranzo, entriamo al Ristorante Dall’Ava. Ci sediamo nascoste dietro un maestoso castagno del XII secolo.
Pan e pumata
«Quando venivo qui da bambina – racconta Laura – mangiavo sempre pan e pumata. Chissà se lo fanno ancora».
Entra nel locale e, dopo qualche minuto, torna raggiante: «Il ristorante è gestito dalla stessa famiglia, ricordano ancora mio padre Gino. E mi preparano pan e pumata. Con il pane di San Romolo. C’è ancora il forno, poco più in là».
Marta mi guarda con gli occhi luminosi dei momenti sereni. Cesare racconta le sue ultime letture e, come sempre, ci intriga.
Gli occhi di Laura sorridono. Il suo pranzo ha il gusto del pomodoro strofinato sul pane, ma soprattutto il sapore buono della memoria, il conforto delle origini. Una madeleine, dice Laura guardandolo con avidità.
L’aria si sta rinfrescando, i tuoni lentamente si avvicinano.
Il vecchio forno di San Romolo
Prima che il temporale si scateni, ci arrampichiamo fino al forno storico per comprare il pane cotto a legna e invitanti biscottini al vino rosso e noci.
Bajardo, borgo medievale
Si parte per la seconda tappa. La strada che scivola nel bosco, con rami e foglie che si allungano, si raggiungono e oscillano sotto una pioggia torrenziale. A tratti tremano. Quando scendiamo dall’auto, la temperatura si è abbassata.
Il borgo antico è una chicca. Oltrepassiamo la porta d’accesso e saliamo su per vicoli stretti, strutture architettoniche in pietra, archi in pietra a vista. Ecco un piccolo giardino, con i fiori di Bach.
Chi ama i gatti, a Bajardo è felice. Se ne incontrano dappertutto. Salendo arriviamo davanti alla facciata della Vecchia Chiesa di San Nicolò, gravemente danneggiata dal terremoto nel 1887, lo stesso che ha fatto crollare Bussana Vecchia.
Camminiamo sotto il soffitto squarciato e aperto al cielo. Il tetto della chiesa è crollato uccidendo più di 200 persone, che qui si erano riparate dopo le prime scosse. Fuori, intorno alla chiesa, il panorama sulle Alpi Marittime toglie il respiro. Il Toraggio, il Pietravecchia e il Saccarello, sembra di poterli toccare con un dito.
Il clima è quasi autunnale. Le nuvole aggiungono profondità agli occhi, e si distingue con più nitidezza l’ombra dalla luce. Guardando l’ampio spazio di fronte a noi, cerco di catturare l’opaco e l’aprico di Italo Calvino.
La salita del Poggio
È tempo di tornare. Scendiamo per un’altra strada, attraversando Ceriana, famosa per i suoi cori, e Poggio, nota per essere l’ultima stremante salita prima del traguardo della corsa ciclistica Milano-Sanremo.
Guardo Laura mentre guida. Per ogni luogo qui intorno ha una storia da raccontare. Il suo è uno sguardo a strati, amalgamati, conservati e scomposti. Cerca di tener vivo il difficile lavoro di ricerca sulle radici di Sanremo di suo padre Gino, appassionato custode della memoria storica della città.
Quando Marta e io restiamo sole, prima di tornare in stazione, attraversiamo la Porta di Santo Stefano ed entriamo in centro storico, nella Pigna. Non c’è tempo, dobbiamo ripartire.
Torneremo presto. C’è ancora tanto da scoprire.
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Pubblicato il 28 luglio 2018
2 Comments
Che bella testimonianza! Calvino che guarda il barone rampante dalla finestra. Magari voleva anche lui spiccare il balzo?
Sono anch’io una sanremasca espatriare.e sanromolo funivia e pan e pomata sono tra i miei ricordi più cari.mio papà era in classe con Calvino
Mi raccontava che era silenzioso e guardava sempre fuori dalla finestra. Forse vedeva già il barone rampante. Ci