Lunedì scorso a casa di due care amiche ho visto un bellissimo film sulla guerra nella ex Jugoslavia “Sole Alto”. Un conflitto atroce, che ha messo sulle diverse sponde della barricata anche coppie, persone che si amavano e desideravano un futuro insieme. Una guerra che non va dimenticata, che deve servire come monito. Per questo mi è venuto in mente di proporvi questo mio reportage dalla Croazia, pubblicato nell’agosto del 2008 sul “Secolo XIX”, arricchito da un’intervista a Predrag Matvejević (Mostar, 7 ottobre 1932 – Zagabria, 2 febbraio 2017), uno scrittore che si è giocato fino in fondo e che ho avuto l’occasione di conoscere e frequentare in più di un’occasione.
La frase in corsivo è stata aggiunta oggi.
I parchi nazionali dalmati
Vicino a Šibenik in Dalmazia ci sono ben due parchi nazionali, quello delle isole Kornati, un arcipelago formato da oltre 140 isolotti e scogli quasi tutti disabitati, solitari e rocciosi, e quello del fiume Krka, che prima di sfociare in mare si sfoga dando vita a cascate e cascatelle per un lungo tratto. Centinaia di turisti si gettano nelle acque limpide del fiume, immergendosi nel fragore dell’acqua e lasciandosi trascinare dalla corrente. Nel parco non possono entrare automobili e nemmeno imbarcazioni. Quello che si definisce un paradiso.
Viaggio verso l’inferno
Il fiume Krka nasce a Knin, nella Krajina, un’enclave serba in Croazia, prima della guerra. Ora terra epurata, ben 200.000 serbi sono stati messi in fuga durante il conflitto degli anni Novanta. Quel fiume nasce dove dieci anni fa si è scatenato l’inferno.
Da quando l’ho saputo è come se vedessi anche il sangue scorrere misto a queste acque limpide. Non posso starmene qui a godere tutta questa bellezza, senza trascorrere una giornata lassù, dove è avvenuta la strage. E così parto per questo viaggio nella memoria.
Prima del bivio verso l’entroterra dinarico, la corriera si arresta, è troppo malandata, non ce la fa più. L’autista cerca disperatamente di ripararla sotto il sole cocente, mentre autobus con l’aria condizionata, che fanno servizio sulla costa, sfrecciano indifferenti. 13 uomini e una donna guardano rassegnati le automobili che passano sulla strada trafficata. L’autista si dà per vinto, telefona e dopo un’ora arriva un’altra corriera.
Ormai la costa è alle nostre spalle, sono spariti i cartelli per le camere in affitto che costellano la riva, non più zimmer né appartmani. Dopo qualche chilometro le prime case sventrate, un cimitero su cui sventola la bandiera croata. Girando per le strade di Knin non si incontra neanche un ristorante, si possono mangiare solo pizze. Il menù è scritto soltanto in croato, mentre sulla costa non c’è trattoria che non abbia menu in tutte le lingue, compreso l’Italiano. Sulla strada principale passano camionette dell’esercito con soldati in tuta mimetica e automobili targate Osce. Il territorio è presidiato, tanta polizia, poche donne in giro, nessun turista che passeggia. La costa non è lontana solo 40 chilometri, la costa è in un altro mondo.
Le case portano scolpiti i segni della guerra, tanti i fori delle granate nell’intonaco, una rondine ha deciso di costruire in uno di quei buchi il suo nido e sta portando il cibo ai suoi piccoli.
Unica attrazione di Knin la sua stupenda fortezza – la più grande dell’entroterra dalmata – che sovrasta la città e il fiume Krka, da lassù la vista sulle Alpi dinariche è spettacolare. In cima sventola la bandiera croata, subito lì sotto Knin e il fiume Krka, appena nato, che verso la foce intratterrà con le sue cascate centinaia di turisti. In giro solo una famiglia ungherese, però quassù almeno c’è l’unico ristorante di Knin.
Nelle Krajine correva la frontiera tra impero austroungarico e ottomano. Nel 1578 gli Asburgo spedirono in quella zona cuscinetto i serbi ortodossi messi in fuga dagli ottomani: in cambio delle terre si impegnarono a far fronte all’avanzata dei turchi. E Knin diventò uno degli avamposti della cristianità nei Balcani. I serbi di Knin, quindi, prima di essere scacciati vivevano lì da quasi 500 anni.
Cosa ne pensa lo scrittore croato Predag Matvejević
«Il conflitto non è ancora finito, ma sulla costa non si percepisce più –spiega Predag Matvejević– I balcani producono più storia di quanta ne possano consumare, disse Winston Churchill.
Gli italiani dovrebbero tener conto che gli slavi hanno fatto da “muro della cristianità” per 5 secoli, difendendo l’Europa.
Nessuna città italiana è mai stata presa d’assalto dagli ottomani e l’Italia ha scritto una delle più belle pagine della sua storia, il Rinascimento, protetta da queste vittime sacrificali. Quando si parla della storia europea si dovrebbe tener conto di queste cose. Inoltre, attraverso i Balcani passa la frontiera dello scisma cristiano, della divisione tra cattolicesimo romano e ortodossia bizantina. Lì sono condensati tutti i problemi del Mediterraneo, tutte le differenze di fede e di cultura. In città come Knin, prima della guerra, i serbi e i croati erano mescolati, poi sono stati cacciati via quasi 200mila serbi che vivevano in quelle zone da secoli. Il presidente della Croazia, Mesic, si sta impegnando per dare la possibilità ai serbi di tornare nelle loro case, ma è un processo lento. Io spero che, un giorno, i serbi di Croazia tornino a casa».
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La foto l’ho presa da google, segnalata come immagine senza copyright