Spesso mi vengono in mente Nico Orengo (1944-2009) e Francesco Biamonti (1928-2001), due amici cari con cui ho condiviso un pezzo di strada importante.
Mi mancano.

Ho incontrato per la prima volta Nico nella sua casa di Mortola. Era un uomo di confine, in quell’estremo lembo di Liguria che si confonde con la Francia si sentiva a casa sua più che altrove. Intervistatrice alle prime armi, ero lì per Radiorai.

Il paesaggio di Italo Calvino ai Giardini Hanbury

Poi, per la seconda edizione del Premio Giardini Hanbury – ci conoscevamo ancora poco – aveva dato forza a una mia idea: ricostruire il paesaggio di Italo Calvino, attraverso le foto storiche della Riviera che mio padre aveva raccolto per tutta la vita.
«Bell’idea, ma le immagini sono troppe in così poco spazio. Bisogna essere più essenziali», ci aveva sgridato severo Giulio Einaudi. Il paesaggio di Calvino scomparso sotto al cemento era lì di nuovo, una mostra che poi, più elaborata, è stata esposta anche alla New York University. Grazie Nico. Italo ne sarebbe stato contento. Tu lo conoscevi bene.

Ci scambiavamo una mail ogni mattina

Siamo diventati amici, avevamo in comune l’amore per la letteratura e per Liguria: per un lungo periodo ci siamo dati il buongiorno con la mail ogni mattina, mi raccontava aneddoti sul mondo letterario, mi parlava del Ponente e degli speculatori. E io gli descrivevo i miei primi passi nel mondo del lavoro. O davo dei giudizi sugli scrittori della mia generazione. Oppure lo avvertivo di qualche altra speculazione, che stava per pugnalare il nostro territorio.
Era sempre pronto a intraprendere battaglie per la salvaguardia del paesaggio, tanto da passare qualche guaio in tribunale. Era stato denunciato per quello che aveva scritto ne Gli spiccioli di Montale.

Le Langhe Di viole e liquirizia

Mi ricordo ancora con gioia il weekend che abbiamo passato insieme nelle Langhe con sua moglie Chiara e il mio compagno Cesare. E con i suoi figli Vladimiro e Antonio. Il più piccolo doveva ancora nascere. Negli ultimi anni aveva un rifugio in più, la casa di famiglia di Chiara: si era affezionato a quella terra tanto da ambientarci uno dei suoi romanzi più belli, Di viole e liquirizia, dove tanto per cambiare se la prendeva con gli affaristi.

Gli piaceva fare scherzi

Scrittore prolifico, quasi ogni anno sfornava un romanzo, Le Rose di Evita e Il salto dell’acciuga, tra i più intensi. C’ero rimasta un po’ male quando, senza avvisarmi, mi aveva fatto diventare il personaggio di un suo libro, con tanto di nome e cognome. Gli piaceva fare scherzi di questo tipo e qualcuno si è anche arrabbiato.

Sapeva anche essere generoso

Però Nico sapeva essere generoso, aveva presentato Francesco Biamonti, che scriveva da decenni senza pubblicare, a Giulio Einaudi. E Italo Calvino, ancora vivo, aveva accolto lo scrittore di San Biagio della Cima a braccia aperte.
Sì, era anche generoso, si era subito schierato con un fulmine, la sua rubrica, dalla parte di Cesare Viel, il mio compagno, allora giovane artista, quando era stato attaccato sulla Stampa da Lorenzo Mondo, per una performance su Cesare Pavese. Aveva anche scritto un articolo, sostenendo l’operazione, andando contro un suo vecchio compagno di strada come Mondo.

A Badalucco il Premio dell’olio

Anni dopo, aveva coinvolto Ernesto Ferrero, Antonio Ricci, Marco De Carolis e me, nella giuria del Premio dell’Olio, a Badalucco in Valle Argentina. Voleva sensibilizzare l’opinione pubblica intorno al paesaggio e ai muretti a secco, che stanno crollando sotto il peso dei secoli. Avevamo premiato Renzo Piano. Con grande disappunto di Nico, ci fu solo un’edizione, perché gli amministratori avevano altro a cui pensare.

Una mia lunga intervista mai pubblicata

In una lunga intervista di diverse ore mi ha raccontato la sua vita e la vita del suo tempo. Aveva frequentato qualche classe delle elementari a Mortola, allora un posto selvaggio, da bambino d’estate girava per i bricchi o scendeva in spiaggia a piedi nudi. Aveva proseguito poi gli studi a Torino. Era anche stato ospite da suo zio a Roma, il critico Giacomo De Benedetti. Lì aveva frequentato l’ultimo anno delle magistrali, incontrando personaggi come Elsa Morante, Moravia e Pasolini, sempre presenti nel salotto di suo zio. Una grande fortuna per un futuro scrittore. L’intervista è stata sbobinata poco dopo la sua morte, è lì tra le mie carte di trent’anni di lavoro. Chissà che prima o poi non diventi un libro, come avrebbe voluto lui.

Il tempo è volato via.
Ora non c’è più Nico nel Ponente a far la guardia al territorio.
Non c’è più Nico con i suoi capelli lunghi, quell’aria trasandata da dandy, quel suo stile unico.
Non ha più scritto romanzi ambientati in questa provincia magica e maledetta.
Sono già passati dieci lunghi anni.

Un libro in memoria di Nico Orengo

In occasione del decimo anniversario della morte è stato pubblicato un libro, con diversi interventi, che si intitola Nico Orengo, poeta della pagina e della vita (Fusta editore, Euro 16,90), a cura di Alberto Cane e Francesco Improta.

È un libro corale al quale hanno collaborato con unanimità di intenti e sincerità di affetti, in ordine rigorosamente alfabetico, Enrico Allavena; Mirella Appiotti; Luisella Berrino; Mauro Bersani; Pippo Bessone; Luciano Bertello; Yves Bosio; Alberto Cane; Marco Cassini; Roberta Cento Croce; Claudia Claudiano; Vittorio Coletti; Giuseppe Conte; Marco De Carolis; Walter Eynard; Giuseppe Giacomelli; Ugo Giletta; Laura Guglielmi; Francesco Improta; Federica Lorenzi; Albina Malerba; Paolo Mauri; Aldo Molinengo; Bruno Murialdo; Davide Palluda; Silvana Peira; Paolo Pejrone; Bruno Quaranta; Sandra Reberschack; Antonio Ricci; Alberto Sinigaglia; Giovanni Tamburelli; Ufficio Stampa Einaudi (Ida, Maria, Paola, Simonetta e Stefania); Paolo Veziano.

L’intento, condiviso da tutti, è stato quello di restituire un’immagine di Nico, sorridente e ironico, qual era nella vita e nell’arte, al di fuori di ogni retorica.

Foto Alberto Cane

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