La terza ondata. Ecco cosa combinavo al voltar del millennio. Ero stata invitata a Ricercare, un evento letterario di Reggio Emilia, voluto da alcuni esponenti del gruppo ’63, che metteva in trincea giovani scrittori, tra i quali un anno ci fui anche io. Dovemmo leggere i nostri testi, davanti a un folto gruppo di affamati editor delle case editrici più importanti, nonché robusti critici letterari che menavan fendenti. Una cosa da paura. Ci vollero mesi per riprendermi. L’anno dopo Renato Barilli mandò in libreria il suo saggio È arrivata la terza ondata.

Di seguito un estratto dove parla di un gruppo di alcuni giovani scrittori di buone speranze, tra cui la sottoscritta.

Minimalismo o massimalismo?

Questa rassegna appena terminata (di Ricercare n.d.r.) ha preso in considerazione i casi rilevanti, tra i giovani protagonisti della «Terza ondata», quelli che appaiono già meritevoli di un esame monografico e personalizzato; ma la materia non si arresta certo a questo punto, la
situazione è davvero ricca e articolata, altre presenze urgono, chiedono un momento d’attenzione, e non è escluso che con qualche loro prossima prova si affaccino risolutamente alla ribalta del successo.

La terza ondata

Anche un aspetto del genere conferma che non siamo in presenza di singoli casi sporadici, ma appunto di un’ondata larga e generosa, compresi i limiti che ciò comporta: è chiaro, infatti, che tutti questi personaggi affluenti verso un clima di gruppo si studiano tra loro, si scambiano temi, soluzioni stilistiche, fino a sfiorare i limiti del manierismo.

Ma è quanto deve succedere al momento del verificarsi di un’«ondata», ovvero in un clima sperimentale, d’avanguardia, che implica l’adesione a uno spirito collettivo, di partecipazioni incrociate, di mutui prestiti.

E «Ricercare» in proposito ha fatto adeguatamente il suo dovere, cosicché potremo rivolgerci alle sue varie sessioni per «fotografare» il passaggio di queste presenze non ancora del tutto consolidate, ma già esistenti e prementi per emergere.

Mauro Covacich

Visto che Covacich, l’ultimo evocato tra le personalità degne di attenzione monografica, ci ha portato a parlare di minimalismo, restiamo ancora per un po’ di tempo sotto il segno di questo ambito stilistico: che in sostanza significa fare un uso ridotto, poco appariscente della strumentazione linguistica, quasi con scrittura «acqua e sapone», rifugiata nelle tinte neutre, ben sapendo che forti e crudeli sono invece i fatti posti oltre la soglia dell’immediata percezione; quei fatti che il lettore è tenuto a ricostruire quasi per conto suo, attraverso cenni parchi e contenuti.

Marco Berisso

Incontriamo in questa casella il superbo racconto steso da un protagonista che già abbiamo apprezzato tra i poeti del Gruppo 93, Marco Berisso, racconto improntato al classico filone della quète. Un ex sessantottino, ora rientrato in una pur risicata normalità, è preso dall’angoscia retrospettiva di sapere quale evento ultimo e cruciale abbia potuto spingere al suicidio, in un momento del passato, l’amatissimo leader delle loro velleità contestatorie: forse l’ultima donna che gli è stata al fianco e che lo potrebbe aver coinvolto in un amore infelice, senza sbocco?

Ma questa persona è scomparsa nell’anonimia, nella banalità della nostra esistenza massificata, e dunque bisogna darle la caccia contro la dimenticanza, l’indifferenza che ci inghiotte.

Il protagonista di questa ricerca insegue tracce, le districa con pazienza, con tenacia, fino alla scoperta finale, fatta per deludere il paziente lettore e per respingere quasi con sdegno l’ipotesi di un furbesco sfruttamento delle trame del giallo: anche quella giovane donna, una volta raggiunta, non può spiegare nulla, la morte del capo resta avvolta in quella zona d’ombra che è comune retaggio della vita di tutti.

Laura Guglielmi

Nel districare le maglie del suo inseguimento, Berisso ha anche il pregio di aderire con molta efficacia alla topografia, ai sapori e odori di una genovesità risentita, arida e aspra nello stesso tempo: questo è anche lo sfondo dei racconti stesi da Laura Guglielmi, se possibile ancor più parca e reticente, sul piano stilistico, negli inseguimenti che le sue creature conducono nei carruggi del capoluogo ligure.

Oppure, abilmente viene posto in primo piano qualche dispositivo di ordinaria, sfibrante burocrazia, come succede a quel giovane carabiniere costretto a interrogare un vip, il quale si vendica facendo notare con alterigia il profondo divario esistente tra lui stesso e la pochezza di quell’interrogante, estraneo a tutte le sottigliezze e astuzie del codice mondano.

Esasperato, il carabiniere obbliga la sua vittima a buttarsi addirittura dalla finestra, ma l’evento macroscopico viene rimosso, censurato, espulso dalle battute di un verbale stilato secondo frasi stereotipate, meccaniche.

Il che, poi, è la condizione di ogni strategia minimalista: in primo piano, ci sta una piatta normalità linguistica, e solo tra le pieghe compaiono orridi crimini.

Silvia Magi

Un’arte, questa, ripresa anche da Silvia Magi, dove a parlarci direttamente è chiamata un’esistenza femminile in fase di passaggio dall’infanzia alla pubertà, che dunque si trascina dietro grosse ignoranze e incertezze sui problemi della sessualità, comprese le perversioni che questo comporta; e, dunque, la giovane protagonista della Magi registra con stupore e terrore a un tempo le improvvise mutazioni comportamentali e caratteriali che intervengono nell’amica del cuore, un momento prima bambina come lei poi a un tratto convertita al destino di donna, con i misteri e i silenzi che ciò comporta. (…)

Vitaliano Trevisan

Forse nell’orbita di quest’area riservata al minimalismo potremmo classificare anche le sottilissime costruzioni di Vitaliano Trevisan, abile nell’offrirci in primo piano le confessioni, innocue o tutt’al più improntate a una disarmante pedanteria, di un soggetto apparentemente candido. ma scopriremo poco alla volta che al contrario egli ha da nascondere, a noi e forse anche a certi livelli di un se stesso raziocinante, qualche tremendo crimine commesso nell’ombra, nella latenza, e prudentemente rimosso (Trio senza pia¬noforte. Oscillazioni, Theoria, 1998).

Carlo D’Amicis e Sandrone Dazieri

Tuttavia, più che attraverso i tratti stilistici, riesce facile affrontare e classificare l’enorme materiale steso da questi narratori attraverso i dati esteriori di cronaca e di rilevanza sociale.

Carlo D’Amicis, in un bel racconto (Piccolo Venerdì, Transeuropa, 1995, cui poi è seguito II ferroviere e il Golden boy, ivi, 1998) affronta la coesistenza tra «uno come noi» e un fratellino adottivo di altra etnia, colpito da una lunga e insidiosa malattia, per cui la narrazione si sposta anche nelle corsie di un ospedale, il che è anche il dato comune con l’inizio di un’avvincente storia di picaro dei nostri tempi abbozzata da Sandrone Dazieri.

Andrea De Marchi

Andrea Demarchi si pone tipicamente lungo la grande via stabilita dall’asse Arbasino-Tondelli, portando un suo personaggio a smarrirsi in quei riti sociali che costellano la vita di oggi, soprattutto sul versante giovanile, le feste abbondantemente dedite al consumo di alcol, droga e sesso, da cui tuttavia è possibile fuggire per cercare di ritrovare qualche oasi di pace, ovvero qualche momento epifanico, non fosse che rifugiandosi sul tetto di una casa per udirvi un «canto celestiale» (Sandrino e il canto celestiale di Robert Plant, Transeuropa, 1996). (…)

I titoletti nel testo di Barilli li ho fatti io per rendere il testo più seo oriented.

_

Leggi anche Nanni Balestrini: «Gli editori oggi pubblicano solo chi vende»

Vuoi leggere altri miei post? Naviga sul mio blog!

Se vuoi scrivermi qualcosa, contattami pure

Per seguire il mio blog, se vuoi iscriviti al mio gruppo su Facebook

 

 

Comments are closed.