Non vi siete mai imbattuti nei cavalli selvaggi? Cosa aspettate?

Un bello spavento

Vedo i suoi occhi vigili che mi stanno puntando, comincia a galoppare. È in cima alla collina, noi siamo a un centinaio di metri più in basso, ma sta guardando me. Ho paura, mi sposto indietro.

Evelina, la nostra esperta guida, che prima ci ha consigliato di camminare accucciati, ora invece ci ordina di alzarci tutti in piedi dritti e di alzare le mani in alto: «Così ci percepisce come ostacolo e non viene verso di noi». Lui non interrompe la sua irrequieta cavalcata ma vira verso destra, prendo coraggio e lo fotografo, con la sua criniera bionda al vento.

L’erba del prato è alta e le sue zampe spariscono nel verde. Più in basso raggiunge due femmine e un puledro, che lo seguono per un po’, galoppando. Poi si fermano e si mettono a brucare l’erba tutti e quattro. La foto in apertura di questo reportage – mi sembra impossibile a pensarci ora – ma l’ho fatta io con lo smart phone, e racconta proprio questo momento emozionante.

Questo è il momento più intenso di una domenica trascorsa intorno al lago Giacopiane nel Parco Naturale Regionale dell’Aveto (Ge), cercando di incontrare i cavalli selvaggi. Ma non sono pericolosi?, chiedo a Evelina, mi sono presa proprio un bello spavento: «No, assolutamente. Basta sapere come osservarli senza disturbarli o spaventarli. E poi non ci si deve avvicinare troppo».

I branchi vivono intorno al Lago di Giacopiane

Intorno al lago di Giacopiane scorrazzano 50 cavalli, divisi in cinque branchi. Si muovono liberi in un’aerea che va dai 16 ai 25 chilometri quadrati. Sono stati identificati 5 stalloni, mentre il numero delle femmine è maggiore, circa 3 femmine per ogni maschio, e una media di 3-4 puledri per branco. Nel punto in cui siamo possiamo vederne due gruppi, uno proprio qui sopra e l’altro sul versante opposto, al di là del torrente.

Stamattina ha piovuto e quando succede si riparano sotto gli alberi frondosi. Adesso stanno pian piano uscendo sui prati. Anche d’estate prediligono le ombrose faggete a quote più alte e al riparo dagli insetti, mentre in primavera e in autunno è facile vederli vicino al lago o sui versanti sovrastanti. In genere affrontano la brutta stagione rimanendo uniti e termoregolando la temperatura del loro corpo stringendosi uno all’altro.

Vita da giovani stalloni

Ecco che ora incontriamo un maschio giovane sotto una pineta, è tutto solo. Lo fotografo da tutti i lati, ma sembra non gradire e continua a girarsi di schiena. Sono a pochi metri da lui e finalmente si gira e colgo la sua espressione. Ha forse capito che sono innocua (guarda la fotogallery). Evelina ci fa stendere a terra per non farlo scappare: «A volte capita che quando compiono tre anni lo stallone li cacci via dal branco – spiega – Dopo qualche tempo cercano di intercettare una femmina, oppure sfidano lo stallone quando è vecchio. I combattimenti non sono mai troppo cruenti.

Le femmine guidano il gruppo

All’interno del branco ognuno ha il suo ruolo, le femmine guidano il gruppo e sono più brave a trovare le vie di fuga in caso di pericolo, mentre i maschi fanno le sentinelle. Il ruolo guida viene sempre assegnato per competenza». Forse avremmo qualcosa da imparare noi umani.

Cosa mangiano i cavalli selvaggi

Le rocce tutte intorno a noi sono ricche di sali minerali di ferro e magnesio, i cavalli ne sono ghiotti, ne hanno bisogno per vivere. D’inverno purtroppo mangiano anche il sale che viene buttato per strada quando scende la neve, e quello gli fa male.

Amano i faggi, usano i rami come fossero uno spiedino e fanno scorrere la bocca inghiottendo solo le foglie, che hanno anche una funzione antiparassitaria. A primavera si abbuffano di bacca di rosa canina, per ritrovare le forze, dopo il lungo e uggioso inverno.

I carnivori sono più affettuosi degli erbivori?

«I carnivori sviluppano più l’affettività degli erbivori – ci spiega Evelina – perché per loro la vita è più difficile, fanno molto più fatica a procurarsi il cibo. Infatti i puledri sono più liberi di girare da soli rispetto ai cuccioli di lupo o di tigre». Rompiscatole come sono, faccio notare a Evelina che però questo modo di interpretare i loro comportamenti è viziato dal nostro modo di vivere e dai nostri parametri. Mi dà ragione, infatti ormai molti studiosi stanno rivoluzionando la maniera di interpretare i comportamenti degli animali.

L’omosessualità è molto sviluppata tra i cavalli selvaggi

«Ora vi racconto altre due cose – continua Evelina – Il salto ad ostacoli non è nella loro natura, i cavalli sono corridori, quindi è una violenza per loro. E poi: l’omosessualità è molto sviluppata, come fra tutti gli animali». Non hanno bisogno di GayPride o di Unioni Civili per essere felici, però.

Evelina cura i cavalli selvaggi come fossero figli suoi

Ora mi sta raccontando una storia che ricorda un po’ Bambi: «Eravamo qui al lago di Giacopiane per un intervista con una troupe televisiva. Vediamo due cavalli in cima a un poggio e decidiamo di avvicinarci per coglierli sullo sfondo dell’inquadratura.

Una volta vicini ci rendiamo conto che la femmina adulta – l’altra era la sua puledra di circa 2 anni – trascinava l’anteriore destro. Aveva un laccio da bracconiere che le stringeva il pastorale e non riusciva a camminare. Abbiamo chiamato la sezione veterinaria dell’Asl di Chiavari, e in mezzora è arrivato il dottor Gian Paolo Lippolis. In tutto il levante ligure c’è un solo fucile anestetico e noi abbiamo dovuto farne a meno.

Per darle il calmante l’abbiamo seguita a piedi – e posso garantire che un cavallo zoppo corre molto di più di un umano in piena salute – finché non è stato possibile avvicinarla e farle l’iniezione. Ci sono volute diverse ore. Alla fine, esausta e calmata dal tranquillante si è lasciata curare dal dottore e due giorni dopo l’ho rivista con la sua puledra e con la gamba appoggiata a terra. Devo dire una gran fatica ripagata mille volte dall’emozione di vederla camminare di nuovo».

Ma perché Evelina ti sei innamorata così tanto di questi cavalli? «Hanno una luce negli occhi che non ho mai visto nei cavalli del maneggio, una luce che racconta la loro fierezza e la loro natura libera. Da quando li osservo e li seguo porto sempre con me un po’ di questa luce».

I cavalli selvaggi, risorsa per il turismo slow

Evelina Isola, la nostra coraggiosa guida è genovese, ha 39 anni, una laurea in Scienze Naturali e un dottorato in Scienze della Terra. Da qualche anno si dedica con passione alla divulgazione scientifica e alla didattica ambientale. Grazie all’incontro con Paola Marinari anni fa è nato il progetto “I Cavalli Selvaggi dell’Aveto – WILD HORSEWATCHING®” «Vorremmo che venisse finanziato un nostro progetto di ricerca per censirli. Potrebbe essere il primo studio scientifico condotto sui cavalli in natura: uno degli ultimi branchi ancora esistenti in Italia. Crediamo che la loro presenza possa essere una risorsa per il turismo slow e che siano uno strumento di equilibrio per l’habitat».

Michela Vittoria Brambilla arriva in soccorso dei cavalli feriti

Si lamenta dell’intolleranza di alcuni abitanti del posto, nei confronti del loro progetto. Mi racconta che qualcuno, anni fa, ha sparato e ammazzato due cavalli. E, in un’altra occasione qualche capo è stato catturato forse per il macello, ma poi sono stati colti in fragrante: «Era il 22 aprile dell’anno scorso. Grazie all’intervento di Michela Vittoria Brambilla, siamo riuscite ad aprire il cancello del recinto dove erano stati rinchiusi dieci cavalli. È successo tutto così in fretta: l’arrivo di Brambilla che aveva intercettato la nostra “denuncia” sulla pagina Facebook, la sua telefonata con il sindaco. E poi le corse su per i boschi per spingerli verso l’alto». Solo a sentirla raccontare ti viene gioia.

Chi ostacola il lavoro di Evelina e Paola?

La cosa più antipatica che hanno fatto alle due intrepide amanti dei cavalli, Evelina e Paola, è grattare via la loro immagine da una foto su un pannello informativo, predisposto dal Parco. L’ho proprio visto con i miei occhi sul lato opposto alla diga, all’attacco del sentiero per Bertigaro. E mi ha preso un colpo: inquietante. Ma se si crede in qualcosa, la paura passa in secondo piano. Perché ce l’hanno così tanto con voi?: «La diffidenza maggiore è da parte di chi ha un orto, un terreno o vacche al pascolo».

Così è cominciata la storia

Come mai questi animali così straordinari hanno deciso di vivere in questo luogo? Vent’anni anni fa è morto il proprietario di una mandria. Quelli che stiamo vedendo ora sono i discendenti. Quindi non sono proprio selvaggi, ma rinselvatichiti: «Li conosco da 15 anni – continua Evelina – Li incontravo sulla cima del Monte Aiona o al Passo della Spingarda, allora non conoscevo la loro storia e non mi accorsi di ciò che stava accadendo: quello che oggi si chiama re-wilding, il rinselvatichimento di alcune specie animali nelle aree rurali e montane. Quando poi ho iniziato questo progetto, ero solo una persona che amava i cavalli e praticavo l’equitazione. Oggi, osservandoli in natura, guardandoli nel loro ambiente riescono a colmare quel desiderio di contatto che cercavo senza dover chiedere loro nulla in cambio. Mi danno già tutto ciò che mi fa stare bene».

Una precisazione: l’ultimo cavallo veramente selvatico, il Tarpan, si è estinto in Occidente nel 1912. In tutto il mondo ne sopravvivano solo 500 individui: i Przewalski della Mongolia. In italia gli esemplari che vivono liberi senza proprietari sono solo rinselvatichiti ma non selvaggi, anche se li si chiama così ormai per abitudine.

Ora che sto scrivendo questa storia è passata una settimana esatta da quel giorno. Ho ancora stampati nella testa i due occhi di quel cavallo che mi ha preso di mira. La sua corsa, la sua virata, me li porterò dentro per sempre, sperando che possa vivere in pace, tutto il tempo che gli è concesso da madre natura.

Per contattare Evelina Isola: +39 347 3819395 o navigate il sito

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Pubblicato per la prima volta il 22 giugno 2016 su mentelocale.it

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