Quando vedo un filo d’erba che cresce tra due piastrelle mi commuovo. Potete immaginare un intero orto collettivo spuntato fuori in una zona assediata dal cemento. Ne hanno già parlato in tanti, e finalmente ci ho messo piedi anche io, insieme a Ludovica Schiaroli. Lo spunto lo abbiamo scritto insieme.

Siamo a Coronata. Tra Ponte Morandi, il gigante di cemento che attraversa la Val Polcevera, e la foce del fiume, una volta crescevano vigne di Bianchetta. Poi quei terreni sono stati abbandonati per decenni. Da maggio del 2015 un gruppo di persone ha cambiato faccia alla collina, costruendo un orto collettivo, pare sia uno dei più grandi d’Europa. Dove prima c’erano rovi, oggi si coltivano erbe profumate, insalate, cavoli, melanzane, seguendo il ritmo delle stagioni e i principi dell’economia circolare. Tutti possono entrare varcando quel cancello (Corso Perrone, dal civico 38 al 46).

Il ponte Morandi di fronte all’orto.

Andrea Pescino, vulcanico ingegnere oggi in pensione, con il pallino dell’agricoltura e nemico della grande distribuzione, ci porta su e giù per l’orto collettivo e non ci lascia prendere respiro neanche un attimo. Non sta zitto un secondo. È un entusiasta. Quando era studente, ha partecipato alla costruzione dell’autostrada Genova – Sestri Levante: «Quel tratto era un susseguirsi di orti e castagneti. Ho conosciuto l’ingegnere Morandi – spiega guardando il ponte di fronte a noi – Era un genio. Il ponte, secondo il suo progetto, doveva essere tutto in ferro». La storia della sua famiglia sprofonda nella notte dei tempi: ebrei palestinesi sono arrivati a Santa Margherita nel 1132. Poi ci racconta che ha otto figli, 4 maschi e 4 femmine.

Gli animali protagonisti.

Umani e animali partecipano alla produzione e al mantenimento dell’orto collettivo: la cagna fa la guardia di notte, i tre caproni brucano e puliscono i terreni. E poi le galline, nessuno le mangia, e sfornano una trentina di uova al giorno. I gatti invece vanno a caccia di topi e sorvegliano le faine. Un coniglio domestico chiuso nella gabbietta è appena arrivato e non ha ancora ben capito dov’è. Ognuno fa la sua parte.

Tutti lavorano per tutti.

Gli orti sono collettivi, cioè sono di chi li lavora: «Nessuno ha il suo pezzo di terra, piccolo o grande – racconta Andrea – questo spazio ci è stato dato in concessione dalla Ionica Srl, proprietà della famiglia Lavazza, per destinarlo alla collettività. E quindi resta pubblico. Chi viene a lavorare ha in cambio le sue verdure. Gli spazi sono sempre coltivati e tenuti in ordine, cosa che magari non succederebbe se i singoli orti fossero affidati a delle persone precise, che potrebbero trascurarli. Il venerdì e il sabato ci dividiamo il frutto delle nostre fatiche».

Adotta un orto, i migranti sono protagonisti.

Lavorare la terra è anche un modo per integrarsi, con questo spirito è nato il progetto Adotta un orto: protagonisti i migranti che, con un compenso di 50 euro al mese, lavorano la terra per conto di chi lo richiede pagando quella cifra e ottenendo in cambio una cassetta di prodotti a settimana. I migranti possono avere più clienti e aumentare il loro guadagno, creando così un processo virtuoso di restituzione sociale, nei confronti del Paese che li ha accolti.

L’irrigazione dell’orto collettivo.

L’ingegner Pescino ha dato sfogo alle sue conoscenze tecniche, creando un sistema di irrigazione adatto a questa terra scoscesa. Ogni goccia d’acqua che scende dal cielo viene raccolta in apposite buche scavate nel terreno e rese impermeabili con grandi teloni pubblicitari riciclati. Così si creano delle vasche, dalle quali partono dei tubi che servono ad irrigare nei momenti di bisogno.
Non c’è plastica da nessuna parte, per terrazzare si usa solo la filiera integrale del bosco. Un fatica immane a posizionare i tronchi, per costruire gli orti e per evitare le frane.

L’ingegner Pescino, un vero idiota.

«Proprio come si faceva secoli fa in Mesopotamia: terrazzamenti a lisca di pesce e vasche per l’irrigazione – spiega Pescino – Dobbiamo recuperare queste tecniche storiche per restituire ai nostri giovani il loro futuro. È fondamentale attingere alla nostra memoria. Io sono un vero idiota». Ludovica e io, vedendolo così sicuro di sé, ci guardiamo in faccia stupefatte: «L’idiota era colui che conosceva la propria terra – spiega con aria sorniona – sapeva usare gli attrezzi adatti per coltivarla, parlava il dialetto. E viveva in sintonia con la natura. Poi, con la globalizzazione questa parola ha assunto un significato diverso, oggi vuol dire stupido». Insomma Pescino la sa lunga.

Stendhal e Soldati, benedetta sia la Bianchetta di Coronata.

Stendhal ha citato questa stupenda collina di Coronata, quando ancora non c’erano i capannoni, in Viaggio in Italia. Non poteva non parlarne anche un gran buongustaio, come lo scrittore Mario Soldati: in Vino al vino ricorda la chiarezza paglierina e la fragranza lievemente aspra del Coronata, che sbevazzava nelle sue cene genovesi. «Nell’orto collettivo abbiamo ripiantato 500 piante di Bianchetta, che speriamo faranno buona compagnia alla produzione di Andrea Bruzzone e Gionata Cognata. L’anno prossimo magari brinderemo tutti con il nostro vino».

Valentina, la presidente dell’orto collettivo.

Pescino non è l’unico protagonista di questa storia: la presidenta dell’orto – così si definisce – è Valentina Grasso Flores. Laureata in architettura del paesaggio, è convinta che gli spazi urbani influenzino la qualità della vita: «queste colline sono molto fertili, dopo trent’anni di abbandono ora sono completamente rigenerate – ci racconta mentre prepara una cassetta di verdura – Sono stata tanti anni in giro per l’Europa, e ho partecipato alla riqualificazione di alcuni spazi pubblici a Brixton, Londra». Il rapporto con il quartiere è buono: i negozi e i ristoranti fanno molte donazioni all’orto collettivo, anche per dare da mangiare agli animali.

Tante gente in giro per l’orto.

Ma non è finito ancora il nostro sabato all’orto collettivo, in giro ci sono tante persone, molti bimbi. Emanuele Giorgio Costanzo, riflessologo, ci massaggia i piedi, Rita ci mette a posto la schiena e il fotografo Riccardo Arata ci fa percorrere a piedi nudi il suo sentiero nel bosco, dove ha posizionato bancali con fango, pigne, corde, pietre, tronchi e rametti. Ne usciamo infangate ma soddisfatte. I bambini si stanno divertendo da matti a percorrerlo, non vorrebbero mai andare via.
Non vi è venuta voglia di adottare un orto o almeno di andare a curiosare? Se sì, prendete il telefono in mano e chiamate Andrea Pescino al 3455780249, oppure Valentina al 3939881262. Noi ci siamo state bene.
Buona visita.

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