Ho pubblicato questo articolo sulla bufala del Monte Manfrei nel 2016. Ho lavorato molto e ho fatto tante ricerche, che però hanno portato i loro frutti. Sembra che anche grazie a questa mia piccola cosa, la voce “Eccidio del Manfrei” sia stata tolta da wikipedia e che la maestra Fausta ne sia veramente felice. Ha novant’anni e se lo merita. Inoltre, qualche mese dopo questo articolo ha ricevuto una medaglia per aver partecipato alla Resistenza.

Tutti ricordiamo la maestra, l’abbiamo stampata dentro. Io con la mia non andavo molto d’accordo, invece il mio compagno era il cocco della sua. Ma questo l’ho saputo poco più di due anni fa, quando ci ha invitato in pizzeria a Sassello, insieme ad altri suoi allievi della scuola elementare di Albissola Marina. Compiva 88 anni.

Ci ha accolto tutti a casa sua con un bel rinfresco, prima di riunirci intorno al tavolo del ristorante. Di Fausta Siri Scasso non sapevo niente. Si vede che il mio compagno la teneva nascosta da qualche parte dentro di sé. Però era felice di incontrarla dopo più quarant’anni. Una bella serata, con la maestra allegra, e in vena. Che energia, ragazzi!

Passa qualche mese e riceviamo una telefonata: è Fausta: «Venite a cena da me voi due soli che vi devo dire delle cose? Soprattutto a Laura che è giornalista». Una sera uggiosa in pieno inverno, con una pioggia torrenziale, ci siamo ritrovati a guidare per la tortuosa strada che da Albissola porta a Sassello. Cosa mai avrà voluto raccontarci? Eravamo proprio curiosi.

Lo scopriamo subito, appena seduti intorno alla tavola imbandita. Ci teneva a raccontarci la sua verità su un fatto avvenuto durante la Resistenza nell’entroterra savonese, dove lei viveva. «Sono una delle ultime partigiane ancora in vita – ci racconta – il mio nome di battaglia era Rita. Qualcuno sostiene che i partigiani uccisero 200 marò del Battaglione San Marco di stanza al Giovo e al Sassello. Si erano arresi proprio il 25 aprile e sarebbero stati sepolti sul Monte Manfrei.

È tutto falso – continua Fausta tutta concitata – Non sono mai stata comunista, ma ci tengo a far sapere a tutti i costi che, anche in Liguria, si cerca di far passare delle cose che non corrispondono a verità». Ma perché Rita-Fausta è così tanto arrabbiata? «Perchè negli anni è stata messa una croce e poi un cippo sul Manfrei, e sono state organizzate commemorazioni in memoria delle presunte 200 vittime. Poi ho trovato diversi scritti a sostegno di questo questo argomento. Finché vivo voglio testimoniare», incalza Fausta.

Mai più mi aspettavo una cosa del genere, neanche sapevamo che la maestra fosse stata una staffetta partigiana: «Non è vero niente – incalza – Io c’ero e ho visto con questi occhi e ora le cose ve le sto raccontando con questa bocca. Non c’e stato nessun eccidio sul Monte Manfrei».

Fausta è convinta che ne vennero uccisi solo dieci, perché erano stati colpevoli di crimini nei confronti della popolazione durante i rastrellamenti. Mentre gli altri furono fatti partire con il treno da Rossiglione per il campo di concentramento di Coltano: «Li ho visti il 28 aprile 1945 ripartire contentissimi per aver superato l’ansia di ritorsioni da parte dei partigiani – racconta Fausta – Ero a San Pietro e loro erano diretti alla stazione di Rossiglione. Ne mancavano una decina, processati e malauguratamente fucilati per i loro crimini durante i rastrellamenti ai danni della popolazione inerme della valle».

Ce ne andiamo un po’ intristiti per questo cruccio di Fausta, della staffetta partigiana Rita, anche se ci ha cucinato un’ottima cena.

Ci si rivede poi, con tutti i suoi allievi lo scorso gennaio, una grande festa per i suoi novant’anni, una bella rimpatriata tra compagni di scuola, di nuovo in un ristorante di Sassello. Fausta è più in forze che mai. Dopo alcuni giorni mi vedo recapitare per e-mail un libro da lei autoprodotto, dove racconta la sua storia di partigiana.

Nel testo della mail scrive: «Ciao, mi raccomando, diffondi la seconda parte in particolare». Intende quella dove lei sostiene che l’eccidio del Manfrei non è mai avvenuto. Disubbidisco, perché anche le storie raccontate nella prima parte hanno un loro valore. E ora ve la riassumo.

Ci sono aneddoti curiosi come la storia di un pilota della RAF caduto con l’aereo, salvato dagli abitanti, che poi è diventato governatore della Rhodesia. Trovo su wikipedia: “Ian Douglas Smith nell’aprile 1944 durante un’azione di guerra sulla stazione ferroviaria di Alessandria fu colpito dalla contraerea e fu costretto a lanciarsi sulle montagne del Savonese. È stato Primo Ministro della Rhodesia indipendente dall’11 novembre 1965 al primo giugno del 1979.” A Fausta non piaceva tanto il signor Smith, e ne dice di ogni, ad esempio che non è stato riconoscente con chi lo ha salvato.

Durante i primi anni di guerra Fausta studiava in un collegio in piazza Manin a Genova, poi suo padre preferì continuasse gli studi a Savona. Ad ogni modo il 15 maggio del 1944 stava proprio passando sopra il Ponte Monumentale a Genova quando è scoppiata una bomba al cinema Odeon, che uccise 5 soldati tedeschi, vicenda che poi ha portato alla rappresaglia nazista e alla strage dei 59 partigiani del Turchino. «Lo scoppio sembrò far ondeggiare il ponte e mi terrorizzò», racconta Fausta.

Dai racconti della sua adolescenza, viene fuori una ragazza libera di girare e andare dove voleva, nonostante la guerra. In quel periodo non riusciva a capire se fosse meglio stare in città sotto i bombardamenti o in campagna dove i nazifascisti facevano continue rappresaglie. Così Fausta stava un po’ per ogni dove. Suo papà, purtroppo morì nel 1943 durante la guerra perché non c’erano mezzi per curargli una brutta pleurite. Mentre i due fratelli erano dispersi in Africa.

Un’altra cosa interessante che racconta Fausta nel suo libro: «Nell’estate del 1944 giunse a Marasca, dove abitavo, una compagnia di soldati tedeschi a riposo reduci nientemeno che dalla battaglia di Stalingrado. Non c’erano SS, ma militari comuni che cercavano di familiarizzare con la gente forse in preda a tanta nostalgia della famiglia di cui non avevano notizie».

Ancora: «Il comando della Brigata partigiana Buranello distava dalla mia casa paterna solo trecento metri». E racconta le rappresaglie, ma anche gli amori, i partigiani in cerca di cibo e di caldo nel gelido inverno. Poi di Don Berto che frequentava e aiutava moralmente i partigiani comunisti. Era una consolazione per tutti. E la futura maestra era molto affezionata a lui.

Fausta così inizia a fare la staffetta, portando da mangiare ai partigiani nel fitto del bosco e nelle caverne, dove si erano rifugiati, mentre gli alleati paracadutavano viveri. Scende spesso dal Faiallo a Voltri per recuperare qualche tozzo di pane (Io quella passeggiata l’ho fatta passando da Sambuco e devo dire che è una delle salite più toste verso l’Alta Via dei Monti Liguri). Gli abitanti, in quegli anni bui, vengono spesso portati al forte del Giovo, picchiati e torturati perché confessino dove sono rintanati i partigiani. E lei – di nascosto – ascolta radio Londra, trasmette le notizie alla brigata.

Custodisce gli indirizzi degli affiliati e fa anche la cassiera, nascondendo banconote da 500 lire nella letamaia. Da ottobre del 1944 ad aprile del 1945, la lotta diventa sempre più dura. E Fausta denuncia anche atti infami compiuti dai partigiani: racconta di una donna incinta di 7 mesi, una spia, e un ragazzo di 18 anni con problemi mentali, che vengono uccisi. I tanti morti, da una e dall’altra parte, vengono poi sepolti nei boschi. E lei ha paura di imbattersi in qualche cadavere. Una volta, in quei terribili giorni, mentre va in cerca dei funghi porcini si imbatte in un piede che esce fuori da una fossa, con un calzino insanguinato.

Ho voluto dedicare questo spunto a Fausta Siri, soprattutto perché mi ha colpito la sua determinazione. A novant’anni ci vuole una bella forza. Questa è la cosa che più mi ha stupito e che mi ha portato a raccontarvi questa storia. Anche wikipedia sostiene che “L’eccidio di Monte Manfrei avvenne in una località in provincia di Savona, lungo la strada che dal passo del Turchino conduce prima al passo del Faiallo e poi, discendendo verso Vara Superiore, ne raggiunge le propaggini.

Nell’immediato dopoguerra gli abitanti di Urbe e della frazione di Vara riferivano di una strage avvenuta in località Monte Manfrei. Tali testimonianze permisero una parziale ricostruzione degli avvenimenti: 200 soldati della Divisione San Marco furono uccisi in quel luogo dopo che l’Ufficiale in comando pattuì, a guerra finita, il disarmo dei propri uomini coi partigiani”. La fonte on line indicata da Wikipedia, oggi 15 aprile 2016, però è solo il quotidiano “Il giornale”.

Ho provato a indagare, ma non è facile arrivare ad una verità seppur parziale. Ho telefonato a esperti, ho sentito gente del posto, ho chiesto a colleghi giornalisti che hanno scritto libri sulla Resistenza, ma nessuno ne sa niente. Molti mi hanno suggerito che se davvero ci fosse stata una strage di tal portata, 200 persone trucidate, lo sapremmo tutti.

Così conclude il libro Fausta: «Chiudo questo mio scritto con l’augurio per le nuove generazioni di non vedere come me la patria divisa. La guerra civile è il peggiore flagello che possa esistere, non si possono trovare giustificazioni per i crimini che comporta e per chi non l’ha vissuta è difficile comprenderla».

Ebbene volevo raccontarvi questa storia e auguravi buon 25 aprile che, in qualsiasi modo la pensiate, è stata una data fondamentale per il nostro Paese. Grazie Fausta per esserci e per crederci ancora. Ci ho messo un po’ a scrivere questa tua storia, ma ce l’ho fatta.

Voce agli allievi oggi cinquantenni della maestra Fausta, che hanno frequentato la scuola elementare di Albissola Marina negli anni Settanta:

Patrizia Giallombardo

Nella propria crescita ognuno ha avuto, molto probabilmente, persone che lo hanno segnato, educato, istruito. La maestra Fausta è stata ed è per me ancora oggi una di queste persone. Una maestra di vita che ha saputo trasmettermi passione, coraggio e determinazione per raggiungere i miei obbiettivi. Una donna d’altri tempi, si direbbe oggi, che ha saputo riunire a distanza di tanti anni quel gruppo di ragazze e ragazzi che aveva visto passare nelle sue aule.

Avrebbe potuto lasciarci andare per le nostre strade, in fondo, dopo tanto tempo e vite vissute quel legame originario delle scuole elementari per molti di noi sembrava dovesse scomparire del tutto. Fausta ci ha permesso di ritrovarci e riscoprire quel legame. In un mondo che dimentica i suoi valori più importanti quelle cene organizzate a Sassello, quei momenti ricordati insieme, rappresentano momenti belli e puri. A lei va il mio più sincero grazie, per tutto.

Paolo Gerra

Il ricordo della nostra maestra Fausta è sempre nel mio cuore. Mi diceva sempre: Paoletto anche oggi in ritardo! Ce ne fossero maestre così oggi. Dall’italiano alla religione, è una enciclopedia vivente. Era sempre presente quando avevamo dei problemi però era severa quando ci voleva. Mi ricordo la bacchetta che usava dando colpetti sulla cattedra. Una maestra di insegnamento. E, al momento giusto, anche una mamma.

Elisabetta Maffioli

Sono stata tanti anni fa un’allieva della maestra Fausta, e come non ricordarla? Tanto severa quanto materna, non sfuggiva niente ai suoi occhi, ma aveva sempre e comunque un atteggiamento dolce nei confronti di noi piccoli alunni. Ci ha trasmesso valori che oggi è difficile ritrovare nel mondo della scuola tra insegnanti e allievi. Si preoccupava di noi anche al di fuori delle ore di lezione. Dopo 40 anni ho ancora il piacere di sentire il suo affetto e ricordare la sua devozione per il lavoro. Grande maestra, grande donna.

Lorenzo Tagliafico

La tempra delle persone nate e vissute in un’epoca travagliata e difficile come la Seconda Guerra Mondiale è qualcosa di unico e appartenente soltanto a chi, come Fausta, ne ha vissuto da vicino gli orrori e le ingiustizie. Ancora oggi vive dentro di loro un fortissimo desiderio di giustizia, quella giustizia che spesso viene offuscata da persone che nulla hanno avuto a che fare con quel periodo, ma che purtroppo, per disinformazione “politicizzata” distorcono le cronache e i fatti, spesso sminuendo la gravità di ciò che fu perpetrato dal regime fascista negli anni bui della guerra.

Io e i miei compagni di scuola, ricorderemo sempre Fausta come una figura importante della nostra vita, non una semplice insegnante, ma una donna coraggiosa e idealista che ci ha trasmesso valori importanti come lealtà e giustizia e fratellanza. È stata per me, come una seconda mamma negli anni che ho frequentato la scuola elementare. Tutti noi che siamo usciti dalla sua mano didattica abbiamo vissuto di rendita per parecchi anni, anche nelle classi superiori.

Cesare Viel

Sono stato fortunato ad avere Fausta come maestra. Una donna come ce ne sono poche. Per lei tutti i suoi bambini erano importanti e degni di considerazione e rispetto. Era severa, ma profondamente giusta, umana e generosa. A me faceva anche un po’ paura perché urlava con la sua voce acuta e brillante, ma si capisce, eravamo più di una trentina e tutti insieme dovevamo fare un chiasso infernale. Fausta era una donna che dava la giusta attenzione a ognuno di noi, nessuno si sentiva escluso. Il suo sguardo non ci perdeva mai di vista. L’energia che comunicava era fortissima. Ricordo sempre i suoi occhi luminosi e intensi, e la sua risata così sonora, libera, vitale che poteva scoppiare tutt’a un tratto, all’improvviso, e coinvolgere tutti. La cosa più stupefacente? A vederla anche adesso è sempre la stessa.

Pubblicato per la prima volta il 20 aprile 2016 su mentelocale.it

Iscriviti al mio gruppo su Facebook

2 Commenti

Scrivi un commento