Se non ci si prova non si ha idea di quante cose si possono fare arrivando a Favale di Malvaro, in val Fontanabuona (GE) alle 16.30 di pomeriggio e tornando a casa la sera dopo. Un sabato e una domenica, diciamo. Anche a novembre, come è capitato a me. Pur con la nebbia. Davvero non scherzo.
È quasi buio ma si va ad Arena
Posati i bagagli all’Osteria della Fonte Buona (ora pare sia chiusa), su indicazione di Giovanni, il gestore, alle 17 partiamo a piedi per il villaggio abbandonato di Arena, armati di lampade frontali.
Non fa tanto freddo, ci godiamo il tramonto sul sentiero e arriviamo dopo 40 minuti ad Arena. È buio totale, neanche uno spicchio di luna. Puntiamo le luci e scopriamo il volto notturno di porte, finestre, persiane, balconi, arcate, lavatoi, vasetti, tavolini all’aperto, cespugli di rosmarino, alberi che divorano le mura, vigne che si avvinghiano tra i sassi delle case, edere che soffocano le abitazioni, scale che si arrampicano nelle case, cataste di legna e un’ape dimenticata lì dal secolo scorso.
Un gran silenzio: ci accorgiamo che è la notte di Hallowen
Tutto un mondo immerso nel silenzio, solo le voci lontane delle generazioni che hanno vissuto all’interno di queste mura ormai sconnesse, che hanno aperto le finestre e le porte di queste case con gioia in primavera, sicure di essere scampate ad un altro inverno. Al momento non ci abbiamo pensato, ma era la notte di Halloween. Paura? Proprio per niente. Né delle streghe, né dei cinghiali o dei lupi.
In questa Osteria ha dormito il mitico Pepe
Torniamo all’Osteria della Fonte Buona, dove siamo gli unici ospiti che pernottano per la notte: «A dormire ci vengono soprattutto gli stranieri e non in questa stagione», ci dice Giovanni. Ma il ristorante è tutto prenotato, cosicché invece che stare schiacciati e ammassati con gli altri, ci propongono di cenare soli soletti in una stanza magazzino-studio. Dopo aver ben mangiato e ben bevuto – buono il tortino di funghi e il testarolo con il pesto – vado a spiare nella stanza dove ha dormito Pepe Mujica, il mitico ex-presidente dell’Uruguay, nel maggio del 2015. Per combinazione di nuovo in Italia proprio in questi giorni per presentare La felicità al potere (Edizioni Eir). C’è una frase in particolare che sintetizza il suo pensiero, una frase semplice, ma di una forza straordinaria: Povero non è colui che possiede poco, ma colui che ha bisogno di tanto e desidera ancora di più e più.
I Nonni di Mujica erano della val Fontanabuona
Mujica, colui che ha rifiutato lo stipendio presidenziale e che, negli anni del suo mandato, ha continuato a vivere nel barrio povero di Montevideo. Ecco questa persona, che ho avuto modo di vedere da vicino quando sono stata in Uruguay, ha dormito qui all’Osteria della Fonte Buona, tra queste vecchie mura di campagna, senz’altro più signorili di quelle di casa sua in Uruguay.
Ma perché Mujica è arrivato fin quassù, in questo paese sperduto della Val Fontanabuona? Perché i suoi nonni materni sono tra le migliaia di migranti, che abbandonando una vita di stenti in queste vallate, hanno attraversato l’Atlantico in cerca di fortuna. Infatti all’imbocco della valle c’è un monumento all’emigrazione, mentre nella piazza principale di Favale di Malvaro si può vedere anche la Casa dell’Emigrante.
Entro nella stanza dove ha dormito il Pepe, la fotografo, mi siedo sul letto. Amo l’entroterra, amo la semplicità. E stasera ho fatto tombola.
Storie e intrecci a Favale
Originario di Favale era anche Amanzio Pezzolo, camallo, un tempo vice-console della Compagnia Unica. Una volta mi raccontò di una sua zia, maltrattata nel ristorante di famiglia di Favale, che se ne scappò da sola, senza dire niente a nessuno, in Sud America. E che lui la andò a cercare, con i dollari in tasca, per darle la sua parte di eredità. Non fu un’impresa facile, ma ci riuscì.
Storie che si allacciano: Amanzio conosceva bene la proprietaria di un tempo dell’Osteria delle Fonte Buona, quando era ancora un’abitazione privata, Carla Sanguineti. La conosco bene anche io.
Beh, che dire di cose ne abbiamo già fatte abbastanza, ma abbiamo ancora un giorno intero davanti a noi. La mattina, appena svegli, apriamo la finestra, una barriera di verde ci sommerge, ma il tempo è brutto.
Come non raggiungere l’Alta Via dei Monti Liguri?
Siamo equipaggiati e non ci ferma nessuno. Abbiamo deciso di andare sul monte Pagliaro e così facciamo, un giro di 16 chilometri che parte da Sbarbari, in val d’Aveto: è un sentiero un po’ difficile da trovare, quindi consiglio di partire da Priosa anche se l’ho fatto anni fa. Approdiamo al passo d’Arena sull’alta Via dei Monti Liguri. Ogni volta che vedo quel segnale, quella scritta AV su sfondo bianco, con due rettangolini rosso fuoco che la riparano ai lati, provo un sentimento di appartenenza e di felicità. Ora c’è la nebbia. Una salita mozzafiato e arriviamo sulla vetta del monte Pagliaro. Da qui si dovrebbe vedere un panorama stupendo fino al mare, ma c’è la nebbia. È la seconda volta che arrivo qui in cima, la seconda volta che non si vede niente.
La nebbia però aiuta a percepire meglio le cose che hai vicino, di solito il panorama ti distrae e ti perdi quello che ti circonda. Scendendo dal Pagliaro, invece di proseguire per la Cappella del Ramaceto, dove siamo già stati più volte, prendiamo il sentiero per Ventarola, un paesino stupendo. Il sentiero per arrivare al villaggio si imbocca nei pressi dei Casoni d’Arena, due stupendi edifici in pietra a vista in mezzo al bosco, ben distanti dal villaggio abbandonato che porta lo stesso nome.
Nella faggeta, ascolto il torrente che scivola giù veloce, e il frusciare delle foglie secche sotto i piedi, un tappeto morbido che invita a nuotarci dentro. Così come noto i colori delle piante uno ad uno, ora che è autunno e hanno assunto delle tinte che colpiscono gli occhi e li obbligano ad una continua sorpresa.
Il rifugio di Ventarola
A Ventarola, mettiamo il naso dentro il rifugio ben allestito e poi, camminando sull’asfalto, attraversiamo Priosa e poi di nuovo a Sbarbari. (Trovate i sentieri descritti in questo articolo nelle ottime guide di Andrea Parodi, ce n’è anche una dedicata proprio a queste zone). Mi raccomando il tratto di Alta Via che descrivo è EE, cioè per escursionisti esperti. Io non l’ho trovato assolutamente difficile, ma state attenti.
Sono tante le cose che si possono fare in 24 ore, basta rendersi conto che ricco non è colui che possiede molto, ma chi riesce ad essere felice per le cose che ha. E ora, di nuovo a casa, mi sento milionaria.
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L’autrice non ha responsabilità se qualcosa è cambiato o se qualche sentiero ora fosse chiuso o pericoloso