Pubblico oggi una tra le pochissime interviste, uscite in Italia, fatte a Nicolas Mathieu, premio Goncourt 2018 per il romanzo con Les enfants après eux (Actes Sud).

Di Roberta Gregori

Nato nel 1978 a Épinal, Nicolas Mathieu è in ottima compagnia, figura ora nella lista dei grandi nomi della letteratura d’oltralpe, affianco di André Malraux, Simone de Beauvoir, Marguerite Duras e Michel Houellebecq.

Il suo romanzo parla di un’adolescenza trascorsa in un mondo operaio ormai allo stremo, nelle sperdute acciaierie della Francia Orientale  – di cui è originario – durante quattro estati degli anni ’90. Al giovane protagonista Anthony, proveniente dalla piccola borghesia, si affianca Stéphanie, una ragazza benestante di cui si innamora, e Hacine, che cresce in una famiglia originaria del Maghreb.

Intorno ai ragazzi si trascinano le vite ai margini dell’ultima generazione degli uomini di ferro che ancora popolano le valli dominate dagli altiforni, ora spenti. Anthony ha quattordici anni. Con suo cugino ruba una canoa, un po’ per gioco un po’ per noia, per andare a vedere cosa succede dall’altra parte del lago, sulla rinomata spiaggia di culs-nus. Vive così il suo primo amore e la sua vera prima estate in un mondo che sta lentamente morendo.

Incontro Mathieu in una gelida serata di novembre nella libreria Millepages di Vincenne, poco a est di Parigi. È cordiale e sorridente, proprio come viene fuori dai media francesi che in questi giorni lo stanno assediando.

Che effetto le fa aver ottenuto un premio così prestigioso?

All’inizio ero molto sorpreso. Mi fa molto piacere, ma mi rendo conto che c’è una grande distanza tra quello che sono io e il Premio Goncourt. Per un anno rappresenterò un’istituzione che significa la letteratura in Francia e che dà diritto a certi privilegi, ma anche a certi costrizioni. Riconosco, anche, che è stato un colpo di fortuna.

È vero che voleva diventare scrittore già da bambino?

Tra le tappe più importanti mi ricordo molto bene quando, in seconda elementare, ci diedero un racconto da terminare, che narrava la storia di San Nicola, un santo molto popolare nella Francia dell’est. Scrissi il racconto che piacque all’insegnante e venne letto davanti a tutta la classe. Ho un ricordo vivo di quel momento e dell’orgoglio che provai. A otto anni mi feci regalare una macchina per scrivere. Da lì in poi è stata una lunga storia di letture e di ammirazione per gli scrittori.

Da adolescente ha composto canzoni, racconti e poesie

Una passione per la scrittura che trova il suo motore nelle frustrazioni, nello stupore e nella rabbia. Anche il desiderio di fissare delle cose, delle percezioni, delle persone, dei momenti. Rendere praticabile il mondo intelligibile. Alla fine tutto porta alla scrittura. A parte la mia pigrizia, che devo combattere tutti i giorni.

La prima stesura non è affatto un piacere. È un momento angosciante e faticoso. Mi devo sforzare. L’ispirazione non mi viene, chiudendo gli occhi e invocandola. Non succede così! Sono obbligato ad andare avanti a passi forzati. L’immagine che spesso mi viene in mente è quella dei fiori di carta giapponesi che si schiudono quando li si mette in acqua.

All’inizio mi vengono in mente le idee. Non provo piacere nell’atto dello scrivere, ma nell’aver scritto: una sensazione di lavoro compiuto che dà senso alle mie giornate. Poi inizia il lavoro di riscrittura, si approfondiscono i personaggi, si sistema la trama, si ripulisce il testo dal superfluo.

La scrittura è anche un atto politico?

Sì, cerco di descrivere come le classi sociali si incrocino o si evitino, le frontiere più o meno permeabili. E come gli affetti siano influenzati dai rapporti di classe. Questo atteggiamento, che mi assomiglia anche un po’,  si riflette nella mia lingua, a volte articolata e dotta e a volte semplice.

La sua scrittura è corale.

Sì, non mi piace descrivere i personaggi da un solo punto di vista. Ricordo la famosa frase di Jean Renoir nella Regola del gioco:

quello che è terribile nella vita è che tutti hanno le proprie ragioni

Io cerco di mostrarle tutte e alla fine viene fuori una galleria di personaggi ambivalenti.

Mathieu sta dalla parte degli ultimi, come già si evince dal titolo

Di altri non sussiste memoria,
svanirono come se non fossero esistiti,
furono come se non fossero mai stati,
e così pure i loro figli dopo di loro
Siracide, 44, 9. (Antico testamento)

Ero rimasto colpito dal reportage dello scrittore James Agee e del fotografo Walker Evans, Sia lode ora a uomini di fama, commissionato da Fortune per documentare la vita dei mezzadri del sud dell’America durante la crisi degli anni ’30.

Un mostro letterario poetico e ben documentato. Costituiva l’orizzonte perfetto del mio romanzo. Ho scoperto che il titolo proviene da Siracide. Mi hanno colpito le parole i loro figli dopo di loro, la circolarità e la fatalità nella Bibbia.

Le piccole vite non sono niente nei confronti della Storia, ma hanno lo stesso la loro dignità. Anche i miei personaggi sono semplici, vivono nella loro piccola valle, in un’atmosfera che riflette i tempi del mito. La mia intenzione era farli diventare degli eroi shakespeariani.

Progetti futuri?

Non lascerò il lavoro al momento  [lo scrittore lavora per due giorni alla settimana presso un’organizzazione per il monitoraggio qualità dell’aria], ma ho preso un lungo periodo di ferie. Ho un po’ paura di consacrare tutta la mia vita alla scrittura e di allontanarmi dalla realtà, che è la materia prima dello scrittore. Sono molto impressionato fiero per le due prime traduzioni negli Stati Uniti e in Germania de Les enfants après eux, arrivate ancor prima del premio Gongourt.

Sto già lavorando al suo nuovo romanzo, che racconta di un personaggio femminile simile a Hélène, la madre quarantenne di Anthony.

Non resta che aspettare la traduzione in italiano dei libri di questo giovane autore francese, che ama Moravia, il cinema di Pasolini e la costiera amalfitana. “J’adore l’Italie – j’adore, j’adore, j’adore”, non finisce mai di ripetermi con un sorriso entusiasta.

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