Sono ormai passati 5 anni dalla morte di Don Gallo, era il 22 maggio del 2013. In qualunque modo la si pensi, non si può negare che manchi il suo sguardo sugli eventi politici e sociali della città di Genova. E non solo.

Non ero mai stata a trovarlo nel cimitero di Campo Ligure. Sono andata ad aprile. Mi ha colpito molto che la sua tomba sia in un angolo appartato dove non batte mai il sole. Giù in fondo, vicino al pavimento. Sulle prime mi sono stupita, poi mi sono commossa. E ho pensato che proprio così avrebbe voluto, lui che è sempre stato dalla parte degli ultimi.

Il mio ricordo di Don Gallo nel giorno della sua morte

Questo è uno di quegli articoli che non vorresti mai scrivere. Don Gallo non c’è più. Ci mancherà da morire la sua incontenibile allegria, il suo impatto sul mondo, il suo crederci fino in fondo. Non solo al suo Dio, ma anche a chi cerca un po’ di paradiso qui sulla Terra. Voleva che la torta venisse spartita. Non gli andava giù che ci fossero tante persone che non ne avessero mai assaggiato neanche una piccola fetta.

Don Gallo voleva un mondo diverso già qui, tra i vivi. Un po’ teologo della liberazione, un po’ anarchico, quando gli stavi vicino – con quello sguardo ironico, sigaro in bocca e colbacco calcato sulla testa – già ti sentivi meglio. Metteva tutti di buon umore.

Dava del filo da torcere a tutte le gerarchie, non aveva peli sulla lingua. Soprattutto negli ultimi anni. Si era speso per Marco Doria sindaco, e aveva applaudito a papa Francesco. Se Genova non sarà più la stessa senza di lui, l’Italia tutta lo piange.

L’ho conosciuto negli anni Novanta. Ero andata a intervistarlo nella sua tana, uno studiolo da frate che si era ritagliato nella Comunità di San Benedetto al Porto, a due passi dalla Stazione Principe di Genova. Avevo atteso per tre ore prima di incontrarlo, una coda infinita di persone che avevano bisogno di sentirlo vicino. Anche per mezz’ora.

Andrea non era autoritario, cercava di rendere i suoi ultimi – gli emarginati, le trans, i tossicodipendenti – consapevoli e autosufficienti. Un paio di mesi fa sono capitata con amici alla A’ lanterna, il ristorante della Comunità, gestito dai suoi “tossici”. Era tardi, dopo il teatro. Sono entrata e mi hanno detto che la cucina era chiusa. Ho chiesto se c’era lui, per salutarlo. Era nella saletta attigua, con alcuni giornalisti. Erano al dolce. Mi ha apostrofato, allegro come al solito: “Siediti con noi”. Gli ho spiegato che la cuoca aveva finito il turno. Lui l’ha chiamata, ha insistito, ma lei niente, giustamente era ora di andare a casa. “Hai visto Laura, non conto un belino. Non mi dà retta nessuno qui dentro“. E giù tutti a ridere.

Invece contava, eccome. Negli ultimi anni era diventato una star. Spesso in televisione, tanti i libri intervista, i giornalisti se lo contendevano, assillandolo tutti i giorni. Aveva sfondato anche sul web, su facebook aveva da poco superato i 100mila fan. Migliaia i commenti degli atei che lo avevano eletto a simbolo della tolleranza, che credevano in lui, nella sua buona novella, nel modo in cui diceva sempre no ai potenti della Terra. Spesso tirava stoccate a vescovi e a cardinali, a politici e tiranni. Una presenza continua, confortante, anche per molti che non credevano più a nulla, in questi Italia spesso ingannata. Zeppa di truffaldini. E ora?

Non aveva mai in tasca un soldo, la sua pensione, i diritti d’autore dei suoi libri, tutto andava nella cassa comune, nel salvadanaio della sua comunità. Un mondo che, nonostante debba confrontarsi tutti i giorni con la dura realtà dell’emarginazione, vive in equilibrio. Ora che la comunità non ha più il suo Don, occorre che non si disperda l’energia che lui ha profuso. Non dimentichiamoci che la comunità non muore con lui.

L’otto marzo lo abbiamo passato insieme, sempre nel suo ristorante, voleva festeggiare anche lui la Festa della Donna, insieme alla città. In quell’occasione gli ho fatto un’intervista pubblica: «Donne è ora che vi svegliate, per i vostri diritti. Se non ora, adesso!», «Abbiamo un parlamento pieno di donne. È un buon auspicio», «Sono migliaia le donne che hanno partecipato alla Resistenza e sono morte. Solo 19 hanno preso la medaglia d’oro». La sua Resistenza, a cui aveva aderito e di cui parlava spesso. Memorabile è il video visualizzato da più di 300mila persone, dove canta Bella Ciao nella sua chiesa. Ma come gli venivano in mente certe cose?

Combatteva per cause che prima o poi verranno da tutti riconosciute e accettate, il mondo è cambiato molto e lui – uomo del 1928 – se ne era accorto bene. Voleva il sacerdozio femminile, il matrimonio dei preti, le unioni civili. Non la smetteva mai di schierarsi dalla parte degli omosessuali, in prima fila allo storico gay pride nazionale di Genova del 2009.

Certo era un gran parlatore, una verve inesauribile, sempre capace di far pensare, era anche ironico, giocava spesso con le parole, come quando raccontava che in seminario, il suo insegnante gli ripeteva spesso. «Tu non diventerai mai papa». Perché? «Poi l’ho capita – raccontava Andrea – non avrebbe mai potuto esserci un Papa Gallo alla guida della Chiesa». Reggeva il palco del Teatro Stabile per più di tre ore, raccontando e improvvisando. Questo fino a qualche mese fa.

Ciao Andrea, ti pare il caso di andartene via così all’improvviso? Ci contavamo tutti che saresti stato ancora qui tra noi, per molto tempo. Perché tutta questa fretta? E Lilli, che ha trascorso una vita insieme a te, sempre pronta a rispondere al telefono a tutti quelli che ti cercavano? Ad accoglierli in comunità, a cucinare pranzi e cene. Poi sono arrivate anche le mail – una diavoleria – migliaia tutti i giorni, povera Lilli quanto lavoro. Domenico? Milena? E tutti gli altri? Riempivi l’esistenza di tante persone. Che insieme a te cercavano di creare un po’ di paradiso su questa Terra per tutti coloro che hanno ricevuto solo sberle dalla vita.

Non potevi aspettare ancora un po’, perché tutta questa fretta? Dove sei ora? C’è il tuo Dio? C’è il paradiso lì? E Faber, lo hai già incontrato? Amanzio, il tuo amico portuale? Ma non era meglio se restavi ancora tra noi? Giusto un pochino ancora. Ci mancherai da morire.

Ho scritto questo articolo un po’ prima che Don Gallo morisse, in occasione di un’asta d’arte benefica, curata da Franca Speranza, per devolvere i fondi alla Comunità di San Benedetto. Don Gallo è morto poco dopo, ho arricchito il testo, e l’ho mandato on line su mentelocale il 23 maggio 2013

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