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Possono nascere momenti di rivelazione da una callista? Ho scritto questo racconto, uscito sulla rivista “Storie idee, idiozie, idiomi” nel 1994, quando avevo trent’anni. C’era ancora la lira. La battaglia allora era contro l’Aids, un’emergenza planetaria.

Non sono più quella di allora, ne ho fatta di strada nel bene o nel male. Ma nel profondo sono sempre la stessa.

Perché non dalla callista?

Forse preferisce essere chiamata pedicure. Prende 25 mila lire per togliere un callo e raschiare qua e là sotto al piede alla ricerca di qualche pellicina morta. 25mila lire per 20 minuti.

Pensare che mi faccio scrupolo a chiedere 30mila lire per un’ora intera di ripetizioni a ragazzini viziati noiosi stupidi, che non solo vanno male a scuola ma che si possono anche permettere di perdere tempo a pagamento nel pomeriggio.
Perché non dalla callista? in un posto così anonimo, dove le chiacchiere inutili sfiorano i muri per perdersi fuori dai camerini divisi da séparé che nascondono cosce cellulitiche, visi imbiancati, polpacci pelosi, cerette a freddo, a caldo, baffi, rossetti, ombretti, sederi grinzosi, capezzoli gonfi, pinzette, forbicine, ciglia e sopracciglia vere e posticce.
Perché non dalla callista? in un posto così anonimo, dove le chiacchiere inutili su mariti, figli, scuole si intrecciano.

«Lo voglio mandare all’università, sa? È bravo, dovrebbe continuare a studiare. Non vuole, però. Dice che non si sente portato. Come farò a convincerlo? Secondo lei mi stanno aumentando le rughe? Dall’ultima volta che sono venuta mi pare che me ne sia spuntata una nuova sulla fronte, vero?» «Sì, signora, adesso le applico una crema che ci è arrivata da poco. L’ha provata anche la signora Cardillo e si è trovata molto bene».

Perché non dalla callista? in un posto così anonimo, dove le chiacchiere inutili sui mariti, figli, programmi televisivi non riescono a fermarsi al di là del séparé e invadono le mie orecchie stanche mentre guardo questa donna bionda che mi sta davanti con le sue rughe che nessuna crema ha cancellato e che cerca di attaccare discorso ma io preferisco stare zitta perché se si distrae mi porta via il dito.

Perché non dalla callista? in uno spazio così anonimo dove le chiacchiere si spargono nell’aria incontenibili, parole televisive, prodotti pubblicitari che non sembrano aver fermato l’invecchiamento di questa donna bionda tinta che mi sta scorticando il dito mignolo per 25 mila lire in 20 minuti.

Perché non dalla callista questa sensazione di pienezza, di risolutezza, questo attimo di felicità che mi invade partendo dal mio piccolo dito mignolo e si propaga in tutto il corpo, la schiena stanca e la testa piena di cose da fare, di appuntamenti?

Tutto sparisce e ci sono solo io con il mio attimo di felicità, la donna bionda come dietro a un vetro, le chiacchiere rimbalzano fuori dai miei timpani e ritornano come un’eco al di là del séparé che non ha avuto la discrezione di bloccarle.

Chissà se ha disinfettato gli strumenti, questo posto non mi pare pulito, polvere qua e là, pur se siamo in un negozio del centro cittadino. Non per essere paranoici ma gli strumenti non mi sembrano disinfettati, vabbè che questo posto è frequentato da vecchie carampane piene di calli e l’Aids non dovrebbero averlo, non si sa mai, magari scopano come matte.

Perché non dalla callista? Questa sensazione di felicità che mi aggredisce insieme a microbi, batteri e virus. Mi sento in me, trasportata dentro me stessa, dove dovrei essere sempre, ma dove non sono quasi mai.

Esco nella via. I passi rimbombano sul selciato di questa città silenziosa: la gente parla poco, ma le macchine urlano. Passo sotto le arcate postmoderne del nuovo teatro lirico: un adolescente mi sorride. La piazza ottocentesca accoglie me e il mio callo privo di pus e pieno di virus che non mi duole più. Perché non dalla callista?


Questo racconto è uscito nel 1994 su “Storie idee, idiozie, idiomi”, anno III, n.14, Agenzia Oppure, Roma, 1994

Il disegno in apertura è di di Maurizio Beatrici

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