Sabato 12 ottobre alle 18, Cesare Viel, il mio compagno da più di trent’anni inaugurerà una sua personale al Padiglione d’Arte Contemporanea (PAC) di Milano (via Palestro 14), che si intitola “Più nessuno da nessuna parte”, curata da Diego Sileo.

Sono mesi che siamo in subbuglio, un lungo periodo di preparativi. Se in molti lavori della sua trentennale carriera c’è un po’ anche il mio zampino, per questa occasione abbiamo prodotto un’opera insieme, che si intitola “Nel cuore della relazione”, un audio dove la sua e la mia voce si alternano nel raccontare nostre storie molto intime.
Nello spunto di oggi ne riporto un assaggio.

Nel cuore della relazione, di Cesare Viel e Laura Guglielmi

Ti noto al bar dell’università, hai un’aria dolce, sei attraente. Ti rivedo in centro città in compagnia di una donna che indossa un abito da vecchia zia. Noto il contrasto e mi chiedo come mai vai in giro con una tipa così.

Abbiamo amicizie in comune. Io non conosco bene la storia di Che Guevara.
Tu non conosci bene l’arte di Giulio Paolini. Non ho letto ancora Virginia Woolf. Tu non hai letto ancora Gertrude Stein. Decidiamo di andare a vivere assieme.

Fai un tale casino nella mia soffitta, ora diventata nostra, che appena gli amici inglesi ci dicono che hanno una stanza da affittare, la prendiamo. Ci vai a vivere per qualche mese e quando torni pulisci ancora prima di sporcare.

Entrambi in fuga dalla famiglia. La nostra coppia è una cellula di resistenza.

Le nostre estati sul lago di Piné, dove ancora senti le tue radici strappate. A chiacchierare di letteratura, arte e filosofia. Bagni, nuotate e camminate sulle cime. Sento ancora il fresco sulla pelle.

Insieme all’Ariston di Sanremo per un concerto di Joni Mitchell, sento ancora nel corpo le vibrazioni della sua voce.

Io una grande viaggiatrice, tu i voli li hai fatti soprattutto interiori. Quella volta che ti sei ammalato prima di partire per Londra, ti ho caricato sull’aereo.

Con te ho incominciato a camminare interi giorni per ore lungo sentieri di montagna, e ho imparato a capire l’utilità della fatica fisica. Mi hai fatto conoscere la notte nei boschi tra gli alberi.

Mi hai sempre aiutato nell’editing dei miei testi. Centinaia di migliaia di parole passate al tuo vaglio.

Abbiamo incominciato a viaggiare molto, a sperimentare strade poco battute, anche su autobus vecchi e scassati dalla Cina alla ex Yugoslavia, in zone sconvolte dalla guerra. Tra nebbia e smog, straordinarie bellezze naturali.

Invitata a leggere a Ricercare a Reggio Emilia, una conventicola mi aggredisce. Tu mi sei stato vicino. Ma lo sappiamo, le donne devono essere prima di tutto seduttive e poi viene il resto.

Ti ho regalato Il secondo sesso, trovo sempre geniale la sua frase “donne si diventa”.

Ho insistito perché leggessi Gita al faro. Ci hai girato un po’ intorno, poi hai aperto la prima pagina e non te ne sei staccato più.

Mi hai aiutato a convivere con il disagio e ad accettare la paura. Mi hai insegnato a non scappare dalla relazione.

Tante cose sono scomparse, tu ci sei ancora.

Pensando a te ho sempre davanti il tuo volto aperto, sorridente. Mi fai pensare a Ti ho sposato per allegria. Con te una lunga storia di risate.

Mi fa spesso arrabbiare il tuo ragionare illogico, ma lo so che è la tua forza. Me ne devo fare una ragione se ogni tanto ci perdiamo nelle strade della vita.

Capita che ti cerchi tra la folla in un grande cinema o su una spiaggia assolata, o di notte su un treno in corsa, in mezzo a molti altri, ma ti ritrovo sempre.

Talvolta non ti vedo, sei una parte di me come una costola, o come il mal di schiena.

È sempre bello parlare, è sempre bello restare in silenzio. Tutti i momenti, anche i peggiori. Sempre vivi.

A volte parti per le tue tangenti e parli ininterrottamente, dentro un flusso di coscienza. Gli amici invece pensano che sia io la più chiacchierona.

A New York all’auditorium del Metropolitan grazie a te riusciamo a entrare saltando la fila per sentire un reading dedicato a Octavio Paz. L’emozione di vedere Susan Sontag che legge una poesia su Duchamp.

A Mostar festeggiamo i nostri vent’anni insieme. Il ponte è appena stato ricostruito, ma la città è una città di morti. Tombe di nostri coetanei ovunque.

Discutere con te è sempre stimolante, a volte doloroso.

Spesso sei teso, e mi comunichi tensione. Non ce l’hai con me, ma con il mondo, lo stesso mondo con cui ce l’ho anch’io.

Perdersi sempre un po’ ti irrita, soprattutto quando ti aspetti che io tenga il bandolo dell’itinerario.

A Istanbul riesco a contrattare 50 lire turche per la nostra bellissima tovaglia, tu gli hai dato 50 euro.

Ricordo la bellezza dei tuoi lunghi capelli arruffati, disordinati. Come Janis Joplin.

Tu odi le donne seduttive, io i maschi autoritari.

Grazie a te ho conosciuto la bontà delle torte di verdura, con le cipolle e i carciofi, i fiori di zucca ripieni, i ravioli di borragine, la cultura dell’olio. Per me proveniente dal nord est, fatto di gulash, strudel e speck un vero sconvolgimento alimentare.

Spesso ti chiedo se sto bene vestita o pettinata così, mi dici sempre di sì. Secondo me non mi guardi neanche: è come se la mia voce si mescolasse al tuo monologo interiore.

Continui a dirmi che vesto sempre con colori noiosi, blu, grigio, antracite, tinte unite, senza mai un guizzo. Mai un colpo di testa. Ma io so che da un’altra parte la mia follia vive e respira con la tua.

Abbiamo fumato migliaia di sigarette, comperato migliaia di pacchetti, acquistato e perso centinaia di migliaia di accendini.

L’anno in cui ho preso la patente. Che difficoltà parcheggiare in curva in salita, in discesa, tutti posti stretti, scomodi. Quante volte abbiamo litigato per il mio modo di parcheggiare.

Due volte ti sei addormentato guidando sull’autostrada. Ma mi fido ancora, so che ci ammazzerai.

Bello il nostro matrimonio dopo 25 anni, il calore degli amici, arrivati da ogni dove, ma non era il nostro film. Noi ne avremmo girato un altro, senza firmare nulla.

Quando hai pianificato tu il viaggio, la prima volta in Bretagna siamo arrivati nell’unica città senza mare: Quimper. La seconda volta è qui, adesso, su questo sentiero svizzero, con un dirupo sotto, mille metri di baratro.

Grazie a te sono tornata nei luoghi dove andavo da bambina con mia nonna, le Dolomiti, giganti di pietra spesso presenti nei miei sogni.

 

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